Introduzione Europa riparte

Con il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza l’Unione Europea ha affrontato di petto le conseguenze economiche e sociali della pandemia di covid-19. Mentre negli anni passati aveva attuato politiche economiche di austerità per mettere al riparo i bilanci nazionali ed il bilancio europeo da tentativi di speculazione finanziaria, già tentati proprio all’inizio del decennio 2010-2020, ora è prevalsa una linea di sostegno alle economie in difficoltà. Ma mentre a metà del decennio scorso il sostegno finanziario era stato garantito dalla Bce senza un vero e proprio progetto degli stati nazionali, ora siamo di fronte ad una strategia a lungo termine, che si avvale proprio del bilancio europeo, indirizzandolo ad una sorta di “ricostruzione” economico-sociale post-pandemia.
La svolta per l’Europa Unita può dirsi storica, in quanto, falliti i tentativi di consolidamento dell’Unione attraverso riforme istituzionali e dei trattati, ora di fatto viene confermato il destino comune che lega gli stati membri tra di loro. Certamente non si tratta di denaro a fondo perduto: in gran parte andrà restituito negli anni a venire. Ma secondo le linee economiche keynesiane l’intervento massiccio dello stato, in questo caso dell’Europa, in un momento di grave crisi permette di immettere enorme liquidità nel sistema, rilanciando investimenti e lavoro e rendendo possibile la restituzione ora impossibile. Da tenere in conto il fatto che, poiché il creditore di tanti debiti è la stessa Bce da più parti si suggerisce l’idea di non restituire il debito che l’Europa contrae…con se stessa.
Il Pnrr richiede per stati come l’Italia una precisione nella progettazione, nell’esecuzione e nelle verifica delle opere, sotto gli occhi di tutti i partner europei. A cascata i vari piani di sviluppo territoriali, nei quali si articola il Pnrr, richiedono la stessa precisione, accuratezza e lungimiranza per approfittare di questo storico momento.
Il Pnrr è articolato in sei missioni, intorno a cui organizzare i diversi progetti:

  1. Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  2. Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  4. Istruzione e ricerca;
  5. Inclusione e coesione;
  6. Sanità.

Le prime tre sono più propriamente economiche e prefigurano una ripresa dominata dalla digitalizzazione, dall’economia verde e dai vettori culturali e turistici. Le altre tre missioni sono a carattere sociale, per fondare una vera e propria integrazione su istruzione e cura sanitaria. Entrando nel merito di queste ultime, troviamo una cerniera con le prime tre nell’obiettivo 2 della quarta missione: “dalla ricerca all’impresa” (l’obiettivo 1 è “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione dagli asili nido all’università”). Inoltre la quinta missione è articolata in tre obiettivi: “politiche per il lavoro”, “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore”, “Interventi speciali per la coesione territoriale”.

La sesta missione è articolata in due obiettivi: “Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale” e “Innovazione ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale”.
Le presenti schede per la consultazione insistono soprattutto sulle ultime due missioni, ma con un riferimento anche alla prima, alla seconda e alla quarta.

VALORI DI RIFERIMENTO 

Senza la pretesa di ricostruire la storia dei legami tra Chiesa cattolica e progetto europeo, riportiamo alcuni stralci della lettera scritta il 22 ottobre 2020 (memoria liturgica di s. Giovanni Paolo II) da papa Francesco al Segretario di Stato, card. P. Parolin, in occasione del 40° anniversario della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea (COMECE), del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Unione Europea e del 50° anniversario della presenza della Santa Sede come Osservatore Permanente al Consiglio d’Europa.
“Oggi, mentre in Europa tanti si interrogano con sfiducia sul suo futuro, molti la guardano con speranza, convinti che essa abbia ancora qualcosa da offrire al mondo e all’umanità. È la stessa fiducia che ispirò Robert Schuman, consapevole che «il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche». È la stessa fiducia che possiamo avere noi, a partire da valori condivisi e radicati nella storia e nella cultura di questa terra.
Quale Europa sogniamo dunque per il futuro? In che cosa consiste il suo contributo originale? Nel mondo attuale, non si tratta di recuperare un’egemonia politica o una “centralità geografica”, né si tratta di elaborare innovative soluzioni ai problemi economici e sociali. L’originalità europea sta anzitutto nella sua concezione dell’uomo e della realtà; nella sua capacità di intraprendenza e nella sua solidarietà operosa.
Sogno allora un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra in cui la dignità di ognuno sia rispettata, in cui la persona sia un valore in sé e non l’oggetto di un calcolo economico o un bene di commercio. Una terra che tutela la vita in ogni suo istante, da quando sorge invisibile nel grembo materno fino alla sua fine naturale, perché nessun essere umano è padrone della vita, propria o altrui. Una terra che favorisca il lavoro come mezzo privilegiato per la crescita personale e per l’edificazione del bene comune, creando opportunità di occupazione specialmente per i più giovani. Essere amici della persona significa favorirne l’istruzione e lo sviluppo culturale.
Significa proteggere chi è più fragile e debole, specialmente gli anziani, i malati che necessitano cure costose e i disabili. Essere amici della persona significa tutelarne i diritti, ma anche rammentarne i doveri. Significa ricordare che ognuno è chiamato a donare il proprio contributo alla società, poiché nessuno è un universo a sé stante e non si può esigere rispetto per sé, senza rispetto per gli altri; non si può ricevere se nel contempo non si è disposti anche a dare.
Sogno un’Europa che sia una famiglia e una comunità. Un luogo che sappia valorizzare le peculiarità di ogni persona o popolo, senza dimenticare che essi sono uniti da comuni responsabilità. Essere famiglia significa vivere in unità, facendo tesoro delle differenze, a partire da quella fondamentale tra uomo e donna. In questo senso l’Europa è una vera e propria famiglia di popoli, diversi tra loro eppure legati da una storia e da un destino comune. Gli anni recenti e ancor più la pandemia hanno dimostrato che nessuno può farcela da solo e un certo modo individualistico di intendere la vita e la società porta solo a sconforto e solitudine.
Ogni essere umano ambisce ad essere parte di una comunità, ovvero di una realtà più grande che lo trascende e che dona senso alla sua individualità. Un’Europa divisa, composta di realtà solitarie ed indipendenti, si troverà facilmente incapace di affrontare le sfide del futuro. Un’“Europa comunità”, solidale e fraterna, saprà invece fare tesoro delle differenze e del contributo di ciascuno per fronteggiare insieme le questioni che l’attendono, a partire dalla pandemia, ma anche dalla sfida ecologica, che non riguarda soltanto la protezione delle risorse naturali e la qualità dell’ambiente che abitiamo. Si tratta di scegliere fra un modello di vita che scarta uomini e cose e uno inclusivo che valorizza il creato e le creature.
Sogno un’Europa solidale e generosa. Un luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza ed egoismo. La solidarietà è un’espressione fondamentale di ogni comunità ed esige che ci si prenda cura l’uno dell’altro. Certamente occorre una “solidarietà intelligente” che non si limiti solo ad assistere all’occorrenza i bisogni fondamentali.
Essere solidali significa condurre chi è più debole in un cammino di crescita personale e sociale così che un giorno possa a sua volta aiutare gli altri. È come un buon medico che non si limita a somministrare una medicina, ma accompagna il paziente fino alla piena guarigione.
Essere solidali implica farsi prossimi. Per l’Europa significa particolarmente rendersi disponibile, vicina e volenterosa nel sostenere, attraverso la cooperazione internazionale, gli altri continenti, penso specialmente all’Africa, affinché si compongano i conflitti in corso e si avvii uno sviluppo umano sostenibile.
La solidarietà si nutre poi di gratuità e genera gratitudine. E la gratitudine ci porta a guardare all’altro con amore, ma quando dimentichiamo di ringraziare per i benefici ricevuti, siamo più inclini a chiuderci in noi stessi e a vivere nella paura di tutto ciò che sta intorno a noi ed è diverso da noi.
Lo vediamo nelle tante paure che attraversano le nostre società di questi tempi, tra le quali non posso tacere la diffidenza nei confronti dei migranti. Solo un’Europa che sia “comunità solidale” può fare fronte a questa sfida in modo proficuo, mentre ogni soluzione parziale ha già dimostrato la propria inadeguatezza. È evidente, infatti, che la doverosa accoglienza dei migranti, non può limitarsi a mere operazioni di assistenza di chi arriva, spesso scappando da conflitti, carestie o disastri naturali, ma deve consentire la loro integrazione così che possano «conoscere, rispettare e anche assimilare la cultura e le tradizioni della nazione che li accoglie».
Sogno un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società. Sono finiti i tempi dei confessionalismi, ma – si spera – anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio[8], poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana.
I cristiani hanno oggi una grande responsabilità: come il lievito nella pasta, sono chiamati a ridestare la coscienza dell’Europa, per animare processi che generino nuovi dinamismi nella società[9]. Li esorto dunque ad impegnarsi con coraggio e determinazione ad offrire il loro contributo in ogni ambito in cui vivono e operano”.